Un archivio per la città. Faenza nelle carte Zauli Naldi
Maggio - Luglio 2022
Il patrimonio archivistico si compone dell’archivio Zauli Naldi propriamente detto e di tutti quegli archivi delle famiglie che hanno intrecciato per via matrimoniale le loro vicende con gli Zauli Naldi.
Nel 1965, per lascito testamentario il conte Luigi Zauli Naldi, uomo di grande cultura, lasciò un cospicuo complesso documentario, librario e iconografico alla città di Faenza. L’archivio e la biblioteca confluirono in biblioteca comunale, il materiale iconografico in Pinacoteca.
Il patrimonio archivistico si compone dell’archivio Zauli Naldi e di tutti quegli archivi delle famiglie che hanno intrecciato per via matrimoniale le loro vicende con gli Zauli Naldi, tra questi spicca il Fondo Azzurrini che raccoglie materiale documentale antico tra il quale spicca una pergamena del 1169, fondo di quel Bernardino Aszurrini noto per la compilazione del Liber rubeus.
Archivi e biblioteca, conservati nelle loro splendide scaffalature settecentesche riadattate per la Biblioteca Manfrediana, sono ospitate nella sala intitolata al donatore e rappresentano una delle donazioni più importanti ricevute dall’istituto faentino.
L’antica libreria reca ancora l’ordinamento originale per materie secondo la classificazione della fine del XVIII secolo. Le sezioni tematiche, indicate da cartigli, sono fortemente caratterizzate dagli interessi teologici e giuridici del suo principale edificatore, il cardinale Domenico Zauli (1638-1722), e raccolgono suddivisioni quali <i>Theologia dogmatica et moralis</i>, <i>Historia sacra et prophana</i>, <i>Decisiones Sacrae Rotae</i> e <i>Libri prohibiti</i>. Diversi membri della famiglia ottennero infatti di tempo in tempo la dispensa papale per poter possedere e leggere i libri altrimenti inseriti dalla Chiesa nell’Indice dei libri proibiti.
L’Archivio Zauli Naldi è il capofila di nove distinti archivi familiari, aggregatisi nel corso del tempo per i legami matrimoniali. Le famiglie, come quelle degli Zauli Naldi, avevano una forte consapevolezza del valore della loro memoria documentaria, prova ne sia che il conte Giacomo curò in prima persona l’inventariazione dell’Archivio già nel 1889, il suo inventario è esposto in mostra.
Questi grandi archivi familiari sono fonti ricchissime per lo studio di molteplici aspetti della storia della nostra Città: nei loro archivi si conservano i documenti che erano testimonianza dei diritti e dei privilegi concessi dai sovrani o acquistati in vario modo. Ancora da questi archivi trapelano personaggi della vita faentina e della storia romagnola.
I grandi patrimoni, inoltre, richiedevano anche un’efficace gestione dei beni fondiari, che dovevano essere messi a reddito con la coltivazione e l’allevamento per fornire le derrate alla tavola della casata nobile e della “famiglia” (termine con cui si indicava allora la servitù convivente nei palazzi nobiliari) o per essere venduti. In mostra anche “vacchette” delle entrate e uscite dai fondi o semplicemente delle spese giornaliere per la tavola.
Gli archivi di famiglie che hanno ricoperto per secoli cariche e ruoli di rilievo nella vita pubblica rispecchiano, oltre alla dimensione locale dei loro interessi, anche una nazionale, o addirittura continentale delle reti di rapporti e relazioni, come in questo caso con il Regno di Spagna e il Granducato di Toscana.
La mostra, allestita nella splendida Sala del Settecento, comprendeva alcuni fra i più antichi e preziosi documenti, come un’enfiteusi del 1169 e un privilegio ducale rilasciato il 31 gennaio 1504 dal doge di Venezia Leonardo Loredan a Vincenzo Naldi.
L’intervento di inventariazione è stato realizzato dal Settore Patrimonio Culturale della Regione Emilia-Romagna nell’ambito della L.R. 18/2020.
Il complesso degli archivi e delle biblioteche appartenuti alla antica e nobile famiglia faentina Zauli Naldi è pervenuto alla Biblioteca Manfrediana di Faenza nel 1965, a seguito del munifico lascito testamentario del conte Luigi Zauli Naldi (1894-1965), personalità di raffinata cultura.
Il patrimonio librario si articola in diversi fondi: la vera e propria biblioteca antica della famiglia Zauli Naldi, comprendente oltre 10.000 unità fra libri a stampa, manoscritti e opuscoli, databili dal XV al XIX secolo; la biblioteca personale del conte Dionigi Zauli Naldi (1891-1960), composta da circa 1.000 titoli, per lo più di letteratura moderna e contemporanea; la biblioteca dello stesso conte Luigi Zauli Naldi, che conta oltre 3.000 volumi a stampa e manoscritti antichi e moderni, relativi soprattutto alle vicende storiche faentine.
Il patrimonio archivistico si compone innanzitutto dell’archivio dell’antica stirpe dei Naldi, condottieri della Val di Lamone, che contiene documenti cartacei e pergamenacei dal XV secolo, ma anche dell’archivio della famiglia Zauli Naldi, sorta dall’unione degli Zauli di Faenza con gli stessi Naldi, e delle altre famiglie che hanno intrecciato per via matrimoniale le loro vicende con gli Zauli Naldi.
Archivi e biblioteca sono conservati nelle loro splendide scaffalature settecentesche. L’antica libreria reca ancora l’ordinamento originale per materie secondo la classificazione della fine del XVIII secolo. Le sezioni tematiche, indicate da cartigli, sono fortemente caratterizzate dagli interessi teologici e giuridici del suo principale edificatore, il cardinale Domenico Zauli (1638-1722). A testimonianza dell’apertura culturale della famiglia, gli Zauli Naldi consentivano già la consultazione e il prestito dei libri agli studiosi fin dalla seconda metà del XIX secolo, quando la biblioteca era ancora nella loro privata proprietà, testimoniato dal “registro dei prestiti” .
In realtà, quello che è giunto nel 1965 alla Biblioteca Manfrediana come “Archivio Zauli Naldi” è il capofila di una nutrita serie di ben distinti archivi familiari (ben 9 in totale), aggregatisi nel corso del tempo per i legami matrimoniali – con le conseguenti ricadute patrimoniali ed ereditarie – che collegano fra loro famiglie come queste, di alto rilievo politico, economico e sociale. Queste famiglie avevano tradizionalmente una forte consapevolezza del valore complessivo della loro memoria documentaria, innanzitutto come strumento per far valere i propri diritti e privilegi e gestire i propri patrimoni, poi anche per testimoniare la propria lunga storia e il proprio prestigio; prova ne sia che, per esempio, il conte Giacomo Zauli Naldi (1856-1900) curò in prima persona l’inventariazione dell’Archivio Zauli Naldi nel 1889.
Si distinguono quindi:
– l’Archivio Naldi, con documentazione dal XV secolo, ricca di privilegi, corrispondenza con sovrani e carte d’amministrazione patrimoniale, che è quello dell’antica famiglia di condottieri originari della Val di Lamone – ma che vantavano mitiche origini fin dal X secolo dalla stirpe dei nobili ungheresi Balassa, signori di Gyarmat e Kékkö -, che poi divenne preminente anche nella vita politica faentina e che conservò cospicui patrimoni fondiari soprattutto nelle terre avite di Brisighella e a Castelbolognese;
– l’Archivio Zauli Naldi propriamente detto (con documentazione dal XVI secolo), della casata faentina degli Zauli che nel 1758, a seguito del matrimonio di Francesco Antonio Zauli e di Maria Naldi, ultima erede della sua famiglia, ne assunse il cognome e ne assicurò la continuità;
– l’Archivio Bertoni (con documentazione dal XVI secolo), giunto a seguito del matrimonio nel 1782 fra Dionigi Zauli Naldi e la contessa faentina Giovanna Bertoni;
– l’Archivio dal Pane (con documentazione dal XVI secolo), della nobile famiglia che intrecciò più volte patti matrimoniali con le altre famiglie faentine eminenti (nel 1660 fra Biagio dal Pane e Caterina Naldi) e che è ricco anche di documentazioni relative ai servizi prestati da questa famiglia ai granduchi di Toscana nel corso del XVIII secolo;
– l’Archivio Pasolini – della famiglia che si divise nei rami di Ravenna, Cesena e Faenza, con quest’ultimo che si estinse con Orsola Pasolini Zauli Naldi (†1927) -, contenente soprattutto carteggi dei secoli XVIII-XIX;
– l’Archivio Taroni, la cui presenza in questa sede consegue al matrimonio fra Camilla Taroni e l’ultimo Dionigi Naldi, la cui figlia Maria si unirà alla casa Zauli, e che raccoglie carteggi e memorie familiari fra XVII e XIX secolo;
– l’Archivio Magnaguti Rondini, con atti dal 1433;
– l’Archivio Calderoni, che è un più contenuto nucleo di carteggio e atti di amministrazione per lo più della seconda metà del XVIII secolo;
– l’Archivio Azzurrini, che è più propriamente quanto resta dalle raccolte della famiglia faentina (contenenti anche il documento più antico di questi complessi archivistici, una pergamena del 1169) cui appartenne anche quel Bernardino Azzurrini che, col suo Liber Rubeus e altre opere ha dato un contributo fondamentale alla conoscenza della storia di Faenza.
Fra i diversi archivi aggregati dell’Archivio Zauli Naldi, spicca senz’altro l’Archivio Azzurrini, che – per quanto di dimensioni contenute, soltanto 4 buste d’archivio – è più propriamente non solo e non tanto l’archivio familiare, ma quanto resta della raccolta di documenti di storia faentina di diversa provenienza portata avanti nel corso del tempo dalla famiglia Azzurrini.
Per oltre due secoli molti membri di questa famiglia rivestirono ruoli di spicco nella vita di Faenza, ricoprendo cariche pubbliche, svolgendo la professione notarile e avendo accesso all’archivio comunale e ad altri fondi documentari antichi (in particolare quelli del Capitolo della Cattedrale e dei più antichi monasteri, come quello di Santa Maria foris Portam), di cui di fatto acquisirono per vie diverse molte pergamene.
Particolare rilievo ebbe soprattutto l’opera storica di Bernardino Azzurrini (1542-1620): notaio del Comune e dell’Inquisizione, depositario della Camera Apostolica in Faenza, più volte nella magistratura degli Anziani cittadini, divenuto anche custode dell’archivio cittadino ebbe modo di compilare una vastissima raccolta di notizie per la storia di Faenza desunte dalla documentazione originale. In particolare il vasto “centone” detto Liber Rubeus, assieme ad altri testi specifici (il catalogo dei vescovi di Faenza, le memorie agiografiche dei quattro santi protettori faentini), è stato pubblicato con il titolo complessivo di Chronica breviora aliaque monumenta Faventina fra 1905 e 1921 per cura di Antonio Messeri nella collana dei Rerum Italicarum Scriptores dell’Istituto storico italiano, ma molti altri suoi contributi si conservano inediti fra i manoscritti della Biblioteca Manfrediana.
Le raccolte di documenti della famiglia Azzurrini sono poi state divise e disperse per varie vie: nel 1638 una prima parte venne portata a Roma per volontà papale, ed è oggi nell’Archivio Apostolico Vaticano; nel XVIII secolo una seconda parte fu ceduta dagli eredi al Comune di Faenza (oggi depositata con l’Archivio Comunale presso la Sezione di Archivio di Stato); ma fra quanto resta in questa sede vi è anche il documento più antico di tutti questi complessi archivistici: un affitto del 5 aprile 1169 da parte di Beniamino, arciprete della chiesa cattedrale di San Pietro di Faenza.
I grandi archivi familiari, prodotti e conservati nel corso di secoli dalle generazioni che si sono susseguite, sono fonti ricchissime, in grado di essere utilizzate per lo studio di molteplici aspetti del passato. Poiché tutti gli archivi sono il risultato dell’attività che chi li produce ha svolto per perseguire le proprie finalità, è chiaro che una famiglia nobile e ricca dei secoli passati conservava nel suo archivio innanzitutto i documenti che erano testimonianza dei diritti vantati sui beni posseduti, dei privilegi feudali e fiscali concessi dai sovrani o acquistati in vario modo: è qui che si trovano quindi spesso i più antichi documenti in pergamena risalenti al Medio Evo.
Ma i grandi patrimoni richiedevano anche di mettere i piedi un efficace sistema di gestione pratica dei beni fondiari, che dovevano essere messi a reddito con la coltivazione e l’allevamento, resi produttivi per fornire le derrate alla tavola della casata nobile e della “famiglia” (termine con cui si indicava allora la servitù convivente nei palazzi nobiliari) o per essere venduti con profitti sui mercati della città e del contado. Così questi archivi sono ricchi di cospicue serie di registri di contabilità dei fondi rustici, di magazzinaggio di generi alimentari, di dispensa per la tavola di casa, che lasciano intravvedere vivissime immagini della vita quotidiana del passato.
Le cospicue serie di “vacchette” (questo era il nome con cui si indicavano di solito i registri di conti, dalla caratteristica sagoma alta e stretta, adatta a ospitare lunghe colonne di calcoli, e spesso ricoperte con la pelle di vacchetta che ha dato loro il nome), contengono infatti propriamente:
– libri generali di entrata e di uscita di generi, cioè i registri dove per ciascuna tipologia di prodotto dei fondi rustici (grano, orzo, spelta e altri cereali; frutta e verdura; uva e vino; latte e formaggio) si annotava “in tempo reale” l’entrata in magazzino e l’uscita per la vendita, la destinazione al pagamento in natura dei serventi e dei fornitori o al consumo sulle tavole dei palazzi di città;
– registri dei bestiami, in cui si teneva nota con precisione, capo per capo (con, a volte, anche la registrazione dei nomi assegnati agli animali più “nobili”, come i tori, le vacche e i cavalli), della presenza e della consistenza di questi nelle stalle, della loro entrata per acquisto o per nascita e della loro uscita per vendita o per morte;
– vacchette di cantina, laddove i cantinieri annotavano l’approvvigionamento di vino e la sua somministrazione per il consumo domestico (spesso con la distinzione qualitativa fra “vino da padrone” e “vino da famiglia”) o la sua vendita a terzi;
– vacchette di cucina, dove venivano registrate con assoluta precisione le quantità di derrate che ogni giorno venivano utilizzate letteralmente per “mettere a tavola” tutti coloro che consumavano i pasti in casa (dai padroni alla “famiglia”), consentendo così di indagare le quantità e la qualità di cibo consumato e di verificare le variazioni del menù (stagionali, dall’estate all’inverno, o per altri motivi, come i pranzi per particolari solennità o l’osservanza della Quaresima e delle vigilie).
Gli archivi di famiglie che hanno ricoperto per secoli cariche e ruoli di rilievo nella vita pubblica – politica, militare, religiosa, economica – hanno un perfetto contraltare alla dimensione locale dei loro interessi patrimoniali nella dimensione addirittura continentale delle reti di rapporti che si vengono a intessere con i vertici dei principali poteri della loro epoca: sovrani, pontefici, nobili e città, con cui soprattutto la famiglia Naldi ebbe rapporti fin dall’inizio della sua parabola ascendente, dato che i cugini Vincenzo (†1525) e Dionigi (†1510) emersero come condottieri nella tormentata epoca delle guerre d’Italia di inizio Cinquecento, ponendosi al servizio soprattutto, ma non esclusivamente, della Repubblica di Venezia. Un ramo collaterale dei Naldi, con Babone I, prese invece servizio presso il re di Francia Carlo VII e originò la stirpe francese dei nobili Babou de la Bourdaisière.
Con il progressivo stabilizzarsi della situazione politico-militare della Romagna in favore di un più efficace controllo papale, sostanzialmente completo entro la fine del Cinquecento, grandi casati come quello dei Naldi si adeguarono al ruolo di nobiltà di servizio pontificia e di aristocrazia cittadina, ma presero sempre più a rivolgere le loro attenzioni al percorso della carriera ecclesiastica. Gli Zauli, per esempio, seppero innalzarsi con Domenico (1638-1722) fino alla porpora cardinalizia; mentre i dal Pane continuarono a percorrere la carriera militare al servizio dei Granduchi di Toscana (all’inizio del Seicento Ercole dal Pane fu comandante di navi della marina granducale toscana di stanza a Livorno).
Tutto ciò trova un fedele riflesso nei carteggi di queste casate, dove non mancano lettere autografe di re e principi che testimoniano del prestigio raggiunto da molti membri delle famiglie faentine più in vista: l’elevazione alla dignità di cavaliere di Vincenzo Naldi da parte del doge di Venezia Leonardo Loredan nel 1503; i conferimenti di ordini cavallereschi a Dionigi Naldi da parte di Filippo II re di Spagna (nell’esercizio delle sue prerogative di re del Portogallo) nel 1598; l’onore riconosciuto ai conti Naldi di ospitare al suo passaggio a Faenza la regina Maria Casimira di Polonia nel 1699; il riconoscimento della cittadinanza della Repubblica di San Marino a Rodolfo e Giacomo Zauli (1760); tutte queste sono attestazioni sicure del rango attinto da queste famiglie.
Vincenzo e Dionigi Naldi, ad esempio, furono condottieri nella tormentata epoca delle guerre d’Italia di inizio Cinquecento, ponendosi al servizio soprattutto, ma non esclusivamente, della Repubblica di Venezia.
Con il progressivo stabilizzarsi, verso la fine del Cinquecento, della situazione politico-militare della Romagna in favore di un più efficace controllo papale, grandi casati come quello dei Naldi si adeguarono al ruolo di nobiltà di servizio pontificia e di aristocrazia cittadina, e presero sempre più a rivolgere le loro attenzioni al percorso della carriera ecclesiastica. Gli Zauli, per esempio, seppero innalzarsi con Domenico (1638-1722) fino alla porpora cardinalizia; mentre i dal Pane continuarono a percorrere la carriera militare al servizio dei Granduchi di Toscana.
Tutto ciò trova un fedele riflesso nei carteggi di queste casate, dove non mancano lettere autografe di re e principi: l’elevazione alla dignità di cavaliere di Vincenzo Naldi da parte del doge di Venezia Leonardo Loredan nel 1503; i conferimenti di ordini cavallereschi a Dionigi Naldi da parte di Filippo II re di Spagna nel 1598; l’onore riconosciuto ai conti Naldi di ospitare al suo passaggio a Faenza la regina Maria Casimira di Polonia nel 1699; il riconoscimento della cittadinanza della Repubblica di San Marino a Rodolfo e Giacomo Zauli (1760).
Il complesso degli archivi della famiglia Zauli Naldi e degli altri archivi familiari aggregatesi nel corso del tempo per legami matrimoniali comprende testimonianze storiche anche molto antiche, in un ampio ventaglio che da Faenza si allarga a tutta Europa.
Il documento più antico appartiene all’Archivio della famiglia Azzurrini ed è un atto privato su pergamena redatto il 5 aprile 1169: un certo Bambo chiede e ottiene dall’arciprete della cattedrale faentina di San Pietro che gli vengano concessi in affitto a lungo termine (60 anni) tre appezzamenti di terreno.
Si tratta della classica forma della peticio (richiesta) enfiteutica, con cui si attivava un contratto di concessione in uso di beni fondiari a basso canone e a lungo termine (da 29 anni fino a tre generazioni, computate mediamente per 99 anni), da parte di istituzioni ecclesiastiche a singoli laici. Questa forma contrattuale fu molto diffusa lungo tutto il Medioevo, poiché da un lato consentiva ad abbazie e chiese cattedrali di mettere a reddito porzioni dei loro sterminati patrimoni fondiari e dall’altro garantiva la sicurezza del sostentamento alle famiglie degli affittuari, vincolati così a legami di fedeltà con gli enti religiosi da cui dipendevano per il loro futuro.
Il secondo documento, proveniente dal medesimo Archivio, è una lettera senza data, ma della seconda metà del 1501 – inizio del 1502, con la quale Ramiro de Lorqua, governatore e luogotenente generale del ducato di Romagna per Cesare Borgia, nomina una serie di cittadini faentini di primo piano – fra cui Zuccolo Zuccoli e, appunto, Giacomo Azzurrini – quali revisori delle situazioni debitorie lasciate da Astorgio III Manfredi, l’ultimo signore di Faenza deposto il 25 aprile 1501.
Si tratta di un documento estremamente interessante che consente di comprendere i complessi meccanismi di governo e di potere dopo la sconfitta dei Manfredi. Dal documento, infatti, emerge la pronta adesione e partecipazione al nuovo potere da parte di alcune delle famiglie più in vista della città, come erano appunto gli Azzurrini. Ramiro de Lorqua, figura rilevante nel sistema di potere nella appena conquistata Romagna, il 22 dicembre 1502 venne arrestato e poco dopo giustiziato.
Le grandi famiglie erano perfettamente consapevoli del valore strategico delle carte conservate nei loro archivi per documentare e difendere diritti e privilegi, nonché per vantare – o millantare – origini più o meno illustri. Questa consapevolezza fa sì che ogni casato produca e conservi gelosamente libri di “memorie” della storia familiare e aggiorni costantemente i propri alberi genealogici, vera e propria “arma” per combattere le “guerre diplomatiche” che si accendevano in giudizio soprattutto per i contenziosi di natura ereditaria e dotale. Famiglie di rilevo come i Naldi e gli Zauli, poi unitisi a creare il casato degli Zauli Naldi, non hanno fatto eccezione.
Le origini mitiche della famiglia Naldi erano individuate nella discendenza di un Babone dei Balassi giunto in Italia alla fine del X secolo e discendente dal nobile casato ungherese dei Balassa, conti e baroni di Gyarmat e Kékkö (nell’Ungheria nordoccidentale). Questo lignaggio d’oltralpe, secondo le linee di una mitografia comune a molte famiglie nobili italiane, avrebbe guadagnato possedimenti per i propri meriti guerreschi. Anche se il nome di Balasso sarà molto frequente nell’onomastica familiare dei Naldi, questa vicenda non fa che avvolgere in un’aura mitica il più comune processo di inurbamento della nobiltà del contado. Lo stesso Dionigi Zauli Naldi, con il suo Dionigi e Vincenzo Naldi in Romagna edito nel 1925, riconosce in Geremia I, che compare appunto a quell’epoca in città e porta già il nome dei Naldi, lo stipite da cui far partire l’albero genealogico, strutturando la genealogia Naldi su base documentaria.
Il ramo principale dei Naldi cominciò a costruire le proprie fortune a partire dal XV secolo impegnandosi innanzitutto come condottieri nel “mestiere delle armi”, strategico e remunerativo nell’epoca delle “guerre d’Italia”. Da qui seppero quindi ottenere sempre maggiore preminenza politico-economica nella città di Faenza e acquisire un solido patrimonio fondiario nel Faentino e in Val di Lamone.
Figure come Vincenzo (1466-1525) e Dionigi Naldi (1465-1510) emersero anche perché seppero muoversi in maniera efficace e spregiudicata, favorendo la signoria dei Manfredi ma staccandosene al momento giusto, nonché passando dal soldo della Chiesa a quello della Repubblica di Venezia con tempismo. La Serenissima, impadronitasi di Faenza il 19 novembre 1503, concesse ai condottieri Naldi ampli titoli, privilegi e vitalizi. Un privilegio ducale fu rilasciato il 31 gennaio 1504 dal doge di Venezia Leonardo Loredan a Vincenzo Naldi. Con questo documento (datato “die ultimo ianuarii, indictione sexta, MDIII”, secondo lo stile veneto che faceva iniziare l’anno al 1° marzo) il doge loda la prontezza e la determinazione con cui il Naldi ha concorso “ad status nostri exaltationem” nella spedizione militare in Romagna e soprattutto nell’acquisizione di Faenza. Lo eleva alla più alta dignità di cavaliere e gli riconosce un donativo una tantum di 2.000 ducati d’oro, oltre a un vitalizio annuo di 500 fiorini. Queste sono le basi economiche su cui i condottieri più abili avrebbero poi saputo edificare le fortune del loro lignaggio. Di fronte al progressivo ritorno del controllo pontificio sulla Romagna nel corso del XVI secolo, anche la famiglia dei Naldi seppe adeguarsi prontamente al nuovo sistema di potere, assestandosi nella dimensione di quelle famiglie di “nobiltà di consiglio” che esercitavano il loro predominio quale “ceto dirigente” cittadino, trasmettendosi ereditariamente i seggi nelle assemblee comunali, esercitando l’egemonia sulle cariche pubbliche, intraprendendo influenti carriere ecclesiastiche fino alle congregazioni romane, intrecciando convenienti unioni matrimoniali con le famiglie, di Faenza e non solo, che fossero di rango affine.
Il sistema informativo Archivi ER è un progetto nato nel 2007 e curato dal Settore Patrimonio culturale della Regione Emilia-Romagna, in continuità con l’Istituto Beni artistici culturali e naturali che lo ha sviluppato e gestito fino al 2020 con il nome di IBC Archivi.
Mette a disposizione del territorio regionale un’infrastruttura attraverso cui creare, gestire e pubblicare on line risorse informative relative agli archivi storici emiliano-romagnoli e agli istituti ed enti che li conservano.
Attraverso le voci del menu di ricerca si possono consultare informazioni a livello regionale sugli archivi (“Quale documentazione si conserva?”), sui loro soggetti produttori (“Quali enti, famiglie e persone hanno prodotto nel corso della loro storia la documentazione?”), sui loro soggetti conservatori (“Dove si conserva la documentazione e come accedervi?”) e sui relativi inventari on line, se disponibili.
Anche gli archivi delle nove famiglie che compongono il complesso Zauli Naldi sono stati coinvolti in questo progetto e gli inventari, cioè le descrizioni dei contenuti dei documenti e dei vincoli logici che li legano, sono ora consultabili on line.
Per ciascun archivio è possibile leggere sia la scheda complessiva, che delinea le sue caratteristiche peculiari, sia quelle analitiche che identificano i singoli fascicoli, sia la storia della famiglia che ha prodotto quelle carte.
Si possono anche compiere ricerche libere inserendo le parole che ci incuriosiscono: il sistema cercherà quella parola in tutti gli 880 inventari finora pubblicati e nelle 1275 schede descrittive di enti, persone e famiglie che hanno prodotto quegli archivi.
Navigando negli esiti della ricerca si scopre spesso che archivi di cui ignoravamo l’esistenza conservano carte che ci interessano, arricchendo così la ramificazione delle nostre curiosità…