Omaggio a Romolo Liverani
Maggio - Giugno 2023
La vicenda artistica di Romolo Liverani (1809-1872) prende l’avvio nella Faenza del terzo decennio dell’Ottocento e da quella Scuola di Disegno che per diversi decenni educò i giovani all’esercizio scrupoloso secondo le linee indicate sia da Felice Giani sia dal primo direttore Giuseppe Zauli.
Romolo Liverani (Faenza, 12 settembre 1809 – Faenza, 9 ottobre 1872) è stato un pittore, scenografo e decoratore di interni italiano. Fu allievo prediletto di Pietro Tomba nella locale scuola di architettura. Dal 1824 era già attivo come acclamato scenografo nei teatri di Faenza, Ravenna, Senigallia e Lugo. Lavorò in tutta l’Italia settentrionale e centrale presso i più importanti teatri, ma particolarmente in Romagna e a Faenza. Straordinario interprete della decorazione faentina dell’Ottocento, proseguì con il fratello maggiore Antonio la tradizione neoclassica inaugurata da Felice Giani arricchendola di stilemi romantici.
Percorso espositivo e testi a cura di Marcella Vitali. La sezione “Romolo Liverani e l’acqua” è a cura di Ilaria Chia
La vicenda artistica di Romolo Liverani prende l’avvio nella Faenza del terzo decennio dell’Ottocento e da quella Scuola di Disegno che per diversi decenni educò i giovani all’esercizio scrupoloso secondo le linee indicate sia da Felice Giani sia dal primo direttore Giuseppe Zauli. Romolo fu tra i migliori allievi del corso biennale della Scuola di Architettura, diretta da Pietro Tomba a latere dei corsi di disegno di figura e di ornato, che impostava le basi di un rigoroso disegno geometrico e architettonico per poi spaziare alla rappresentazione scenografica; seguì il perfezionamento a Milano presso l’indiscussa autorità dell’epoca, lo scenografo Alessandro Sanquirico. Agli anni giovanili risale un intenso esercizio di copia e studio da stampe di ornati, vedute, monumenti, soprattutto di disegni di scenografia da Basoli, riferimento della scuola bolognese, Landriani e Perego della scuola scaligera, Belloni, Gonzaga e Fontanesi della scuola preromantica, ma anche dei faentini Clemente Caldesi e Pietro Piani.
Nel quarto decennio del secolo raggiunge la piena autonomia inserendosi a pieno titolo nel multiforme ambiente artistico della città, a fianco dei pittori di figura Mattioli, Chiarini, Timoncini, Baldini, dell’incisore Achille Calzi, di un eccellente ornatista quale il fratello Antonio, ma anche di diversi ceramisti, ebanisti, intagliatori, ovvero quella generazione di giovani che, mettendo a frutto gli insegnamenti della Scuola di Disegno, diedero vita alla stagione straordinariamente felice dell’arte e artigianato artistico di alta specializzazione, la civiltà dell’Ottocento faentino.
La versatile attività di Romolo trova quindi uno sbocco naturale nel teatro, ma con gli occhi di un pittore di teatro si muove in altri ambiti, rappresentando con la sua personale visione i paesaggi d’invenzione, inseriti nelle decorazioni murali del fratello Antonio, e soprattutto le splendide vedute di cui riempie una quantità impressionante di taccuini durante le passeggiate in città e dintorni, i viaggi e i trasferimenti per il lavoro di scenografo tra Romagna e Marche e ben oltre. In ogni ambito il suo linguaggio pittorico sa esprimere magistralmente la piena sintonia con il suo tempo grazie agli effetti scenici tipici della cultura romantica, consapevole della possibilità emotiva del colore e della sua carica drammatica, quindi gli effetti luministici, i bagliori, i contrasti chiaroscurali, raggiungendo l’apice nella scenografia per le messinscena di melodrammi, soprattutto quelli di Bellini e Donizetti , oltre al primo Verdi.
La parabola di Romolo si consuma nell’arco di tempo dell’età romantica per poi sfiorire quando ai sogni e alle passioni si sostituisce la presa di coscienza della realtà, agli ideali risorgimentali l’Italia unita.
I numerosi album di Romolo Liverani – di cui ben 14 conservati presso la Biblioteca Manfrediana – restituiscono il quadro complessivo del suo modus operandi, dei generi trattati e, in generale della sua personalità artistica che va ricondotta all’esperienza formativa e alle linee guida della Scuola di Disegno. Romolo è innanzi tutto uno straordinario disegnatore, allenato da anni di studio e di esercizio: la sua grafia a matita o penna scorre veloce e spontanea, descrive o fa intuire, ricorre al tratto sottile o marca con evidenza, riesce a suggerire effetti cromatici col sapiente uso del chiaroscuro esprimendo la propria sensibilità romantica nell’ottica di una rappresentazione invariabilmente di gusto teatrale. La sua sterminata produzione grafica da conto dei diversi ambiti e generi trattati: il teatro, la veduta, il paesaggio d’invenzione, mai generi a sé stanti ma indifferentemente utilizzati oppure fusi magistralmente tra loro. I paesaggi d’invenzione o le vedute di città appaiono nei sipari, comodini, corredi scenici e rappresentazioni teatrali; nelle decorazioni murali prevalgono i paesaggi d’invenzione, talvolta anche le rappresentazioni tratte da scene teatrali; nelle tempere su tela, il solo genere commerciabile, paesaggi o soggetti di scene teatrali particolarmente apprezzate.
(Marcella Vitali)
Nel 1797, a seguito delle soppressioni della Repubblica Cisalpina, anche il Convento dei Servi seguì la sorte di tutti i complessi conventuali; i locali abbandonati furono ceduti a privati finché nel 1824 il Comune ne decise l’acquisizione destinandoli a sede della Biblioteca, delle pubbliche scuole e di una prima raccolta di dipinti. Al periodo di poco successivo al passaggio tra proprietà privata e pubblica risalgono alcuni schizzi di Romolo Liverani di autentiche architetture dell’inganno (trompe-l’oeil) forse per riscattare il luogo quasi abbandonato e dare nuova dignità agli ambienti. Si tratta di un artificio pittorico comune agli scenografi, soprattutto di tradizione bolognese, che la fertile inventiva di Romolo mise in campo in giardini e cortili, scuole e conventi. Nell’ex Convento dei Servi si staglia una grande Minerva all’ingresso delle scuole nel contesto di immaginari loggiati da cui sembra di poter accedere a numerosi ambienti, mentre nel corridoio è messo in scena uno sfondamento illusionistico delle pareti, che si aprono su un ambiente gotico, tipico delle scene dei melodrammi.
Ad un periodo successivo (quarto/quinto decennio del secolo) risalgono tre belle vedute dei chiostri quattrocenteschi, quello più grande addossato al fianco della Chiesa dei Servi e quello più piccolo a destra rispetto all’attuale ingresso. Con la consueta sapiente rappresentazione prospettica (compreso in uno dei fogli la “veduta per angolo” introdotta dai Bibbiena), soprattutto un magistrale gioco di luci ed ombre, Romolo riesce a restituire il fascino del luogo e la sua atmosfera suggestiva, che raggiunge l’apice con il primo piano in controluce a contrasto con l’ illuminazione del lato opposto del chiostro: artificio tipico di un consumato “uomo di teatro”.
(Marcella Vitali)
Il motivo figurativo dell’acqua compare in molte vedute di Romolo Liverani. Unica fonte energetica nell’era preindustriale, l’acqua assicurava il funzionamento dei mulini, come quelli di S. Ippolito e del Batticuccolo, e rendeva possibile lo svolgimento delle attività domestiche, una volta estratta dai pozzi.
L’acqua caratterizza i luoghi della socialità, come la Loggia della Beneficenza, presso la quale sorgeva un’antica fontana pubblica addossata a un pilastro del portico, o i giardini delle ville creati per regalare ai loro frequentatori momenti di ozio bucolico. Altre volte invece l’acqua assume valenze inquietanti, divenendo strumento di distruzione, come nella piena del fiume Lamone del settembre 1842 che tranciò nettamente il Ponte delle Torri. Tale evento è documentato con freschezza fotografica da una serie di disegni che testimoniano il «prima» e il «dopo» il disastro.
Nei disegni di Liverani il tema dell’acqua spesso si accompagna alla rappresentazione del lavoro con spaccati di vita quotidiana nei quali la presenza umana è sapientemente evocata dagli oggetti, pale, tinozze, carrucole, panni stesi ad asciugare. L’umiltà dei mestieri e i muri delle case sbrecciate illustrano le dure condizioni del popolo, il travaglio di intere generazioni per guadagnarsi da vivere.
Molti luoghi sopravvivono ancora. È il caso del foglio a colori con il primo chiostro dell’ex convento dei Servi, dove al centro del cortile si erge il pozzo, oggi all’interno della Biblioteca Comunale Manfrediana.
(Ilaria Chia)
Romolo Liverani partecipa con una certa continuità e viene premiato (1831, 1833, 1834, 1836) ai concorsi indetti dall’Accademia Provinciale di Belle Arti di Ravenna presentando tempere su tela con “paesaggi d’invenzione”, un genere trattato abitualmente nelle decorazioni murali (lunette, sovrapporte, tondi incastonati nella trama degli ornati del fratello Antonio) oppure utilizzato nella produzione per il teatro, in corredi scenici, sipari o secondi sipari (comodini) o per rappresentazioni legate al genere sacro, ad es. fondali per Crocifissi, per presepi o pratiche di devozione.
Spesso si tratta di un genere che deriva dallo studio ammirato delle opere di Pietro Piani, ma anche da precedenti lontani oltre agli storicizzati esempi dell’elegiaco “paesaggio classico”, Lorrain compreso, con la presenza di templi, are e salici piangenti, rovine e citazioni dell’antico rivisitate nell’ambito di atmosfere più miti e familiari.
Gli album di Romolo ne mostrano una sorta di campionario, oltre agli schizzi di paesaggi per “scene di genere”, repertorio ampiamente consolidato: campagne, laghi, marine, boschi, rustici, sotterranei, casolari, valli attraversate da ponti a passerella, eremitaggi, notturni con viandanti, accesi tramonti, evidente espressione di un indirizzo intimista in diretta sintonia con la cultura teatrale d’età romantica.
La pratica del disegno per Liverani doveva rappresentare una sorta di forma mentis, soprattutto una forma di conoscenza diretta acquisita con l’osservazione della realtà. In un’impressionante quantità di fogli vanno in scena le famose vedute urbane, vie, vicoli, piazze, angoli remoti, edifici abbandonati, chiostri, interni di chiese, scorci improvvisi e luoghi pittoreschi: un mondo dove non appare ma si avverte la presenza dell’uomo. Seguono tante immagini dei dintorni, poi via via delle colline fino alla Valmarecchia, al Montefeltro o oltre, dove lo conducevano le occasioni di lavoro: ampie vedute di paesaggio, dove sono spesso rievocati suggestivi borghi, casolari, ruderi e castelli. Il sentimento romantico lo indirizza verso gli angoli remoti, spesso verso il paesaggio pittoresco, realtà che offrono suggestive occasioni di indagine degli effetti atmosferici e luministici in rapporto al mutare della luce nei diversi momenti del giorno, fino agli spettacolari notturni densi di affascinanti valori pittorici grazie all’uso sapiente dell’acquerello.
La qualità indiscutibile di tante vedute di Romolo deve naturalmente essere messa in rapporto alla sua formazione di scenografo quindi all’esperienza della restituzione prospettica e di ambiente, poiché la sua rappresentazione ha il senso di una struttura teatrale: prospettiva con unico punto di fuga centrale o asimmetrico, vedute angolari, prospettive bifocali, gli elementi concepiti come quinte, principali, fondali, disposti in primo piano ad arco di proscenio o con tagli laterali obliqui, controllo delle luci. Quando il tono si eleva, la resa è molto alta, il segno scorre, scava, schizza, e il disegno diventa autentica arte.
Com’era consuetudine di decoratori e scenografi, anche Romolo realizzò diverse tempere su tela più facilmente commerciabili, tratte da fortunate invenzioni sceniche per melodrammi particolarmente ammirate, da qualche decorazione murale, oppure suggerite da vedute. Prevalgono le consuete strutture, pioppi e salici dei giardini romantici, citazioni di un Medioevo fantastico, castelli merlati, scenografiche piazze, soprattutto quei “notturni” così vicini alla sensibilità romantica che avevano reso famoso Romolo e riscosso le acclamazioni a scena aperta: memorie delle sue celebri invenzioni, con una stesura pittorica veloce tutta tesa all’effetto, che enfatizzano le possibilità emotive del colore e della sua carica drammatica. Si tratta di una produzione che ebbe grande fortuna a Faenza e nei luoghi cui Romolo fu più legato per consuetudini e amicizie (Ravenna e Pesaro).