“Se il libro che leggiamo non ci sveglia con un pugno sul cranio, a che serve leggerlo?” A partire da questo pensiero già definitivo, scritto in una lettera all’amico Oskar Pollak da un Franz Kafka appena ventenne, Mauro Covacich insegue lo scrittore praghese in un corpo a corpo tra vita e letteratura. Kafka scrive in una lingua che non era la sua, ma il tedesco dell’impero austro-ungarico imparato a scuola: “ogni lingua è un mondo. Se scegli quella di un altro, ti aggirerai tutta la vita per un mondo non tuo. E anche quando ti capiterà di rispecchiarti nelle vetrine, ti accorgerai che quel tizio riflesso non sei tu”. Questa estraneità rispetto alla vita, rispetto all’amore, rispetto al padre Hermann e alla famiglia, scolpisce la scrittura e l’immaginario con cui Kafka concepisce i suoi capolavori.