un dipinto di un uomo con in mano un pezzo di carta
un dipinto di un uomo con in mano un pezzo di carta

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Ritratto di Dionigi Strocchi – Mattioli Gaspare sec. XIX – Pinacoteca Comunale di Faenza.

Il calendario della Rivoluzione Francese venne adottato a partire dal 22 settembre 1792, anno della proclamazione della Repubblica, per sancire la fine della Monarchia e del sistema feudale in Francia. In conformità al pensiero illuminista si rese necessario introdurre un calendario scevro da superstizioni e convenzioni sociali, basato sul naturale scorrere del tempo e delle stagioni, nonché sui cicli del raccolto.

Il modo in cui l’uomo organizza il tempo si riflette direttamente sul suo modo di vivere, e quindi di pensare: partendo da questa premessa comprendiamo le ragioni storiche che hanno spinto allo sviluppo di calendari appositamente modellati su credenze religiose, eventi naturali e ricorrenze storiche, il cui preciso scopo era quello di rompere con la tradizione, comunicando nuovi ideali. Il calendario rivoluzionario francese venne assunto anche in Italia negli Stati creati da Napoleone anche se non mancò l’immediata e ferrea reazione della Chiesa che vide l’abolizione del calendario gregoriano come una perdita della sua influenza secolare sulla vita dei cittadini.

Questa convenzione comportò una riforma radicale, e diede inizio a un nuovo calcolo degli anni (dunque ad una nuova era), in cui il 22 settembre 1792 divenne il giorno “uno” del mese Vendemmiaio dell’anno “uno” della Repubblica, un nuovo Capodanno che veniva a coincidere con il giorno dell’equinozio d’autunno.

Il calendario fu progettato da una commissione della quale facevano parte illustri matematici come Lagrange e Monge e riprendeva il modello egizio tuttora usato dai Copti: dodici mesi di uguale durata a cui vennero dati nuovi nomi ispirati al linguaggio agricolo e meteorologico (Vendemmiaio, il nostro Settembre, faceva ovviamente riferimento al rito della vendemmia che caratterizza questo periodo dell’anno).

Di fatto l’utilizzo del Calendario rivoluzionario fu molto breve, infatti rimase in vigore solo fino all’1 gennaio 1806, ma è facile trovare documenti, anche di vita quotidiana, che riportano tali bizzarre datazioni.
Tra questi possiamo senz’altro citare le numerose lettere scritte ad amici e politici da uno dei personaggi illustri che popolano il nostro Museo: il letterato e latinista Dionigi Strocchi (1762 – 1850). Faentino, amico e corrispondente di Vincenzo Monti e Ugo Foscolo, è simbolo e fondatore della scuola neoclassica faentina. Strocchi accolse con entusiasmo l’arrivo dei francesi e durante l’età napoleonica partecipò alla vita politica ricoprendo anche incarichi importanti: fu deputato del corpo legislativo della Repubblica Cisalpina, commissario del Dipartimento del Lamone e si adoperò per far avere a Faenza il Liceo, di cui diventerà rettore e insegnante di eloquenza. In seguito, dopo la caduta di Napoleone e la restaurazione, partecipò attivamente ai moti del 1831 e nel 1848 e aderì alle idee repubblicane.

In vita si circondò di personaggi di alto rango e spessore intellettuale con cui intrattenne una fitta corrispondenza, seguendo i canoni della retorica neoclassica e datando ogni lettera secondo l’uso del calendario rivoluzionario.

Nell’immagine: un bel ritratto di Dionigi Strocchi eseguito da Gaspare Mattioli, che lo vede posare accanto al suo amatissimo poeta Virgilio, quasi da volerne incarnare l’alter ego. Una lettera datata 17 Fiorile dell’anno V della Repubblica (6 maggio 1798) indirizzata all’amico Francesco Conti.

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